- Novembre 5, 2021
- Posted by: Comicost
- Categoria: Modulistica
5 Novembre 2021
Spett.le _________________(nome della ditta del datore di lavoro
Ogg: Proposta di disapplicazione di norme illegittime che prevedono obbligatorietà della certificazione verde (cd Green Pass)
Il sottoscritto _______________________________________________(nome e cognome)
nella propria veste di vostro dipendente con la presente, in relazione alla comunicazione dell’azienda in indirizzo, con cui si porta a conoscenza i lavoratori che, dal 15 ottobre, gli stessi, per svolgere la propria mansione lavorativa, debbano munirsi di certificazione verde, in ossequio al DL 127/2021, rende noto e comunica quanto segue,
Secondo risalente Giurisprudenza, il riconoscimento dell’ordinamento comunitario e di quello nazionale come ordinamenti reciprocamente autonomi, ma tra loro coordinati e comunicanti, porta a considerare l’immissione diretta nell’ordinamento interno delle norme comunitarie immediatamente applicabili come la conseguenza del riconoscimento della loro derivazione da una fonte esterna a competenza riservata, la cui giustificazione costituzionale va imputata agli artt. 10 e 117 della Costituzione e al conseguente particolare valore giuridico attribuito al Trattato istitutivo delle Comunità europee e agli atti a questo equiparati.
Ciò significa che, mentre gli atti idonei a porre quelle norme conservano il trattamento giuridico o il regime ad essi assicurato dall’ordinamento comunitario – nel senso che sono assoggettati alle regole di produzione normativa, di interpretazione, di abrogazione, di caducazione e di invalidazione proprie di quell’ordinamento, al contrario le norme da essi prodotte operano direttamente nell’ordinamento interno come norme investite di forza o valore di legge, vale a dire come norme che, nei limiti delle competenze e nell’ambito degli scopi propri degli organi di produzione normativa della Comunità, hanno un rango primario.
Da tanto deriva che le norme comunitarie direttamente applicabili prevalgono rispetto alle norme nazionali, anche se di rango legislativo, senza tuttavia produrre, nel caso che queste ultime siano incompatibili con esse, effetti estintivi.
Più precisamente, l’eventuale conflitto fra il diritto comunitario direttamente applicabile e quello interno (c.d. antinomia), proprio perché suppone un contrasto di quest’ultimo con una norma prodotta da una fonte esterna avente un suo proprio regime giuridico e abilitata a produrre diritto nell’ordinamento nazionale entro un proprio distinto ambito di competenza, non dà luogo a ipotesi di abrogazione o di deroga, né a forme di caducazione o di annullamento per invalidità della norma interna incompatibile, bensì produce un effetto di disapplicazione di quest’ultima, seppure nei limiti di tempo e nell’ambito materiale entro cui le competenze comunitarie sono legittimate a svolgersi. L’istituto della disapplicazione, previsto in ambito amministrativo già dalla l. 20 marzo 1865, n. 2248 (All. E), ha trovato compiuta affermazione nel diritto comunitario per mezzo della storica sentenza “Simmenthal” (9 marzo 1978, C-106/77), le cui indicazioni vennero successivamente recepite dalla nostra Corte Costituzionale con l’altrettanto epocale pronuncia sul caso Granital (Sent. 5 giugno 1984, n. 170).
Tali pronunce hanno avuto il merito di tracciare un solco giurisprudenziale che, eccezion fatta per rarissimi casi (si pensi alla teoria dei cd. “contro limiti”), va a sancire un’acclarata primazia del diritto comunitario rispetto a quello degli Stati membri.
È fatto ormai pacifico, invero, che il Giudice “interno”, prima di sollevare incidente di costituzionalità per violazione del diritto dell’Unione – ricorrendo quindi allo strumento del rinvio pregiudiziale – debba valutare la possibilità di disapplicare (secondo i criteri ordinari) la norma interna, rientrando questo compito tra i suoi essenziali poteri.
Marcando un’evoluzione del suddetto indirizzo giurisprudenziale, la sentenza n. 389/89 della Corte Costituzionale ha poi smentito che un tale potere di disapplicazione competesse esclusivamente ad una figura giudiziale, chiarendo in modo inequivocabile che “tutti i soggetti competenti nel nostro ordinamento a dare esecuzione alle leggi (e atti aventi forza di legge) – tanto se dotati di poteri dichiarativi del diritto come gli organi giurisdizionali quanto se privi di tali poteri come gli organi amministrativi – sono giuridicamente tenuti a disapplicare le norme interne incompatibili con norme comunitarie direttamente applicabili”.
In considerazione di ciò, in una interpretazione evidentemente tesa a richiamare il regime di responsabilità di cui all’art. 28 Cost., appare d’immediata comprensione la necessità secondo cui un regolamento europeo, quale fonte comunitaria direttamente applicabile all’interno degli Stati membri, non sia in alcun modo disatteso da normative nazionali e che, laddove ciò avvenga, i soggetti chiamati ad assicurare l’applicazione della disposizione interna con esso contrastante debbano essi stessi procedere – poiché giuridicamente tenuti a farlo – alla disapplicazione di tale norma.
Il riferimento è naturalmente al d.l. n. 52/2021 istitutivo della certificazione verde che, alla pari dei d.l. nn. 105/2021, 111/2021 e 127/2021 con le relative leggi di conversione nonché del DPCM del 17.06.2021, ha de facto stabilito un obbligo indiretto di vaccinazione a carico della maggioranza dei cittadini italiani.
Un siffatto assetto normativo assume connotati di antigiuridicità e contrarietà alle norme imperative nazionali e sovranazionali, tenuto conto del fatto che il Consiglio d’Europa, in data 28 gennaio 2021, si sia espresso in senso contrario all’obbligo vaccinale, specificando che “gli Stati devono informare i cittadini che la vaccinazione contro il covid non è obbligatoria”, e che il Regolamento UE n. 953/2021, al considerando 36, riprendendo quanto precisato dal Consiglio d’Europa, ribadisca che “i cittadini possono scegliere liberamente se vaccinarsi o no e che non possono essere discriminati né direttamente né indirettamente per tale scelta”.
Se si considera che il d.l. n. 105/2021, nell’integrare il precedente d.l. n. 52, precisa che “le disposizioni dei commi da 1 a 8 (dell’art. 9 del d.l. n. 52/2021 istitutivo del “green pass”, n.d.r.) continuano ad applicarsi ove compatibili con i Regolamenti UE nn. 953 e 954 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14/06/2021” – le quali, lo si ricorda, sono direttamente applicabili all’interno degli Stati membri – appare manifesto che l’intera normativa italiana disciplinante il c.d. green pass sia del tutto illegittima e, in quanto tale, dovrebbe essere disapplicata.
Ma vi è di più.
Secondo la sentenza in esame, poiché la disapplicazione è un metodo di risoluzione delle antinomie normative che, oltre a presupporre la contemporanea vigenza delle norme reciprocamente contrastanti, non produce alcun effetto sull’esistenza delle stesse e, pertanto, non può esser causa di qualsivoglia forma di estinzione o di modificazione delle disposizioni che ne siano oggetto, “resta ferma l’esigenza che gli Stati membri apportino le necessarie modificazioni o abrogazioni del proprio diritto interno al fine di depurarlo da eventuali incompatibilità o disarmonie con le prevalenti norme comunitarie”.
E se, sul piano dell’ordinamento nazionale, tale esigenza si collega al principio della certezza del diritto, sul piano comunitario, invece, rappresenta una garanzia essenziale al principio della prevalenza del diritto europeo su quelli nazionali, al punto da costituire l’oggetto di un preciso obbligo in capo agli Stati membri.
A fronte quindi di tutto quanto sin qui argomentato appare evidente che vi siano tutti i presupposti di fatto e di diritto affinchè il datore di lavoro, che voglia evitare di rendersi responsabile della PALESE VIOLAZIONE DEL’ART. 1 DELLA COSTITUZIONE con tutte le conseguenze che ne ricadrebbero, debba DISAPPLICARE in toto la normativa che pone l’obbligo del Green Pass e consentire al lavoratore di assolvere al proprio diritto/dovere di adempiere al proprio contratto di lavoro in essere fra le parti.
Ogni diversa e contraria presa di posizione del datore di lavoro verrà ritenuta gravemente lesiva dei diritti del lavoratore, della dignità dell’individuo e dei diritti suoi e dei propri diretti congiunti.
In ogni caso si fa presente che il datore di lavoro sarà tenuto a corrispondere a titolo di risarcimento, al lavoratore, lo stipendio contrattualmente previsto.
Luogo ___________________________data_______________________
Il lavoratore __________________________________