Obbligo vaccinale per i sanitari: 7 quesiti per la CGUE

Pubblicato il 17/12/2021

Di: Riccardo Bianchini, avvocato del Foro di Prato

Con l’ordinanza 7 dicembre 2021 (testo in calce) emessa nella fase cautelare del giudizio, il Giudice del Lavoro di Padova rimette alla Corte di Giustizia una serie di questione, formulando ben sette quesiti vertenti, a vario titolo, sulla questione dell’obbligo vaccinale per gli esercenti professioni sanitarie previsto dall’art. 4 del d.l. n. 44/2021 (nella versione antecedente alla riscrittura della disposizione effettuata dal d.l. n. 172/2021).

In estrema sintesi, i fatti di causa dai quali si è originata la pronuncia riguardavano la sospensione di una lavoratrice dipendente di una Azienda Ospedaliera Universitaria: il datore di lavoro, preso atto del mancato adempimento del sanitario all’obbligo vaccinale di cui al citato art. 4, e valutata l’impossibilità di adibirlo ad altre mansioni, lo aveva sospeso dal servizio.

In punto di fatto, rilevava anche che il lavoratore aveva già contratto la malattia Covid-19.

Il lavoratore aveva quindi impugnato il provvedimento di sospensione chiedendo, verosimilmente, l’immediato reintegro del posto di lavoro.

Una prima questione che occorre sottolineare riguarda il tema del rapporto fra dibattito medico-scientifico e valutazione giuridica.

A quanto si apprende dalla lettura della pronuncia, il ricorrente avrebbe prodotto documentazione volta a dimostrare la sussistenza di maggiori rischi – soprattutto per un guarito – di subire effetti avversi dalla vaccinazione piuttosto che da una eventuale reinfezione, anche considerando le nuove possibilità di cura introdotte (in particolare il riferimento sarebbe alla terapia c.d. monoclonale).

Il Giudice, sul punto, ha però chiarito di non ritenere possibile affrontare la sterminata mole di letteratura medica prodotta sul tema, neppure attraverso lo svolgimento di una CTU.

Ciò posto, il Giudice ha tuttavia evidenziato un aspetto problematico: quello della attuale validità delle autorizzazioni condizionate emesse dagli organi comunitari per la messa in commercio dei vaccini disponibili.

In particolare, il Giudice evidenziava come le nuove possibilità di cura della malattia Covid-19 inducano a ritenere non più valida l’autorizzazione concessa in via provvisoria e condizionata, laddove tale autorizzazione era giustificata proprio dall’assenza di cure alternative.

Invero, la pronuncia non sembra particolarmente “loquace” nell’esprimere l’iter logico seguito, tuttavia – anche dalla lettura dei quesiti formulati alla Corte di Giustizia – il pensiero del giudicante sembra muoversi su due fronti: il primo, come detto, del venir meno dell’assenza di altre forme di cura; il secondo, della mancata adeguata analisi del rapporto rischio/benefici, soprattutto in riferimento alla posizione (rilevante nel caso di specie) di soggetti guariti dalla malattia. E questo lo ha quindi portato a formulare i primi due quesiti che riguardano, rispettivamente, l’attualità della validità delle autorizzazioni e l’assoggettabilità dei guariti all’obbligo vaccinale mediante farmaci autorizzati in via condizionata.

Oltre a ciò vengono poi sviluppati altri temi.

In particolare, il Giudice pone il dubbio della compatibilità della norma italiana con il diritto comunitario in ordine a tre aspetti:

  1. se una norma possa imporre l’obbligo vaccinale in pendenza di una autorizzazione dagli effetti condizionati (e, in tal caso, se debba comunque essere rispettato il principio del contraddittorio di cui all’art. 41 della Carta di Nizza);
  2. se la norma italiana possa legittimamente introdurre la misura della sospensione senza stipendio, senza contemplare forme graduali di conseguenze al mancato rispetto dell’obbligo vaccinale;
  3. se il procedimento volto a verificare la possibilità di essere adibiti a mansioni diverse possa svolgersi anche in assenza di contraddittorio con il lavoratore (come avviene nel caso italiano).

Il Giudice pone poi un ulteriore tema, sollevato d’ufficio in quanto rilevante ai fini del decidere: ossia quello della compatibilità della normativa italiana con il Regolamento CE 953/2021. A tale riguardo, vale la pena ricordare che tale Regolamento, nelle sue premesse, contiene un espresso richiamo al principio di non discriminazione, applicabile anche all’ipotesi del cittadino che non intenda sottoporsi a vaccinazione, pur in assenza di specifiche condizioni di salute che ne escludano in radice la praticabilità. Da qui il dubbio di compatibilità della norma italiana con quella comunitaria laddove il legislatore italiano ha previsto che: il sanitario che non “possa” vaccinarsi abbia un trattamento diverso dal cittadino che non “voglia” farlo. A ciò il Giudice aggiunge poi due variabili: ossia quella della condizione del “guarito” (che appunto verrebbe discriminato dal soggetto impossibilitato a vaccinarsi) e, più in generale, quella dell’applicabilità della norma italiana a eventuali cittadini comunitari (non italiani) sottoposti all’applicazione della stessa.

Un aspetto processuale della vicenda merita poi una sottolineatura.

Il Giudice ha infatti omesso di pronunciarsi sulla domanda cautelare, rinviando alla Corte di Giustizia gli atti e chiedendo una decisione con rito accelerato, in quanto, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia richiamata nella stessa ordinanza, solo il giudice comunitario avrebbe la possibilità di pronunciarsi sulla validità degli atti comunitari. E in questo caso, almeno in parte, la vicenda riguarda proprio la validità delle autorizzazioni emesse da EMA.

Da ciò la formulazione dei sette quesiti sopra sinteticamente riportati.

https://www.altalex.com/documents/news/2021/12/14/obbligo-vaccinale-sanitari-7-quesiti-per-cgue